Scuola alle regioni, progetto sbagliato e forse illegittimo. Lo sostiene la CISL Scuola
Oltre alle tante criticità relative alle scelte di merito concernenti l’autonomia regionale differenziata, suscita una forte perplessità l’uso dello strumento giuridico adottato per realizzarle – il comma 3 dell’art 116 della Costituzione – che non appare assolutamente idoneo a legittimare un’operazione di così vasta portata come il trasferire integralmente ad alcune regioni tutte le competenze gestionali sulla scuola. Un’operazione del genere si configurerebbe come un progetto di vera e propria “devoluzione”, assimilabile a quanto già fu tentato dal governo Berlusconi; a differenza di allora, peraltro, neppure discusso dal Parlamento, nemmeno in relazione ai suoi criteri generali, ma definito attraverso un’intesa bilaterale tra il Governo e la singola regione, salva una successiva “approvazione” da parte del Parlamento che non incide sul merito. Questa la tesi al centro della relazione svolta da Giuseppe Cosentino, per anni e con diversi Governi Capo Dipartimento Istruzione al MIUR, al convegno in corso all’Auditorium di via Rieti di Roma in tema di autonomia differenziata.
“È noto che la spinta a trasferire alle regioni competenze sulla scuola si è più volte manifestata, avendo come modello la particolare autonomia delle regioni a statuto speciale – afferma Cosentino – Questa però è una condizione che dovrebbe essere definita nei suoi contenuti con legge Costituzionale (art 116, primo comma Costituzione) e non con una semplice intesa bilaterale. Vale la pena ricordare che in occasione della precedente riforma Costituzionale riguardante gli articoli 116 e 117 (legge Costituzionale del 18 ottobre 2001 n. 3, col Governo D’Alema), proprio per tenere a freno estensioni diffuse del ‘regime’ di statuto speciale, specie in ragione dei rischi sull’ identità valoriale del sistema di istruzione, venne inserita, integrando così la stesura originaria dell’ articolo voluta dai Costituenti, la ben più tenue ‘clausola di asimmetria’ prevista dal terzo comma dell’ art 116 Cost.”
Proprio per il carattere “leggero” delle modifiche apportabili con l’art. 116, resterebbero fuori dai possibili interventi modificativi, secondo Cosentino, “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (lett m art 117 Cost) e “l’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali” (lett g art 117 Cost).
In tale quadro, l’ipotesi di un trasferimento del sistema scolastico alle regioni che comprenda anche il passaggio alla dipendenza regionale del personale e degli uffici periferici dell’Amministrazione, esorbita dall’ambito di una mera implementazione delle competenze previsto dall’art 116, perché violerebbe i due commi sopra richiamati. Né basterebbe, per mitigare il giudizio, il mantenimento allo Stato della competenza in materia degli Ordinamenti degli studi, perché tale competenza, avulsa da quelle sulla formazione iniziale e permanente del personale nonché del suo reclutamento, e in mancanza dell’ esplicito riconoscimento di competenze nazionali di intervento in “sussidiarietà” per i casi di mancato rispetto dei livelli essenziali, lascerebbe allo Stato competenze residuali che si limiterebbero in sostanza alla mera adozione periodica di decreti sui programmi, o poco più.
Ad avvalorare questa lettura concorre il dispositivo della sentenza della Corte Costituzionale n. 76/2013, con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art 8 della legge della regione Lombardia n. 7 del 2012 – concernente proprio il reclutamento del personale docente- perchè “il reclutamento dei docenti non può che provenire dallo Stato, nel rispetto della competenza legislativa esclusiva di cui all’ art 117, secondo comma, lettera g), Cost. trattandosi di norme che attengono alla materia dell’ordinamento ed organizzazione dello Stato”.
La disposizione Costituzionale citata, richiamata dal redattore della sentenza, Sergio Mattarella, non rientra peraltro tra le materie modificabili in base all’ art 116 Cost; il principio fissato in quella sentenza deve dunque ritenersi tuttora pienamente valido.
“Sul piano politico – prosegue Consentino – a conferma delle considerazioni sin qui svolte, appare significativo che le stesse forze politiche oggi più inclini a un’interpretazione estensiva dell’art. 116 fossero a suo tempo ben consapevoli dei limiti in esso previsti, al punto che, andate al Governo successivamente alla riforma costituzionale del 2001, si sono ben guardate dal seguire quella via per dare corso al progetto di modifiche alla Costituzione che sfociò nella legge Costituzionale 16 novembre 2005; fu allora utilizzando, infatti, lo “strumento” giuridico proprio delle vere modifiche costituzionali e cioè l’ art 138 Cost., deputato alla ‘revisione della Costituzione’. Tale articolo presuppone la possibilità di un referendum popolare nazionale, e non regionale: tant’è che quella legge, nota comunemente come legge sulla dévolution, fu sottoposta a referendum e fu respinta a grande maggioranza (61,3% dei votanti, che furono il 52,3% degli aventi diritto)”.
In sostanza: adottando l’art. 116 per l’eventuale trasferimento completo alle Regioni delle competenze in materia scolastica, il Governo del Popolo, presieduto dall’ Avvocato del popolo, non solo disattenderebbe l’esito di uno strumento di ‘democrazia diretta’, di recente esercitato, ma tenterebbe anche di eludere un nuovo confronto su un tema di chiara rilevanza nazionale.