Abbiamo molto apprezzato l’appello rivolto dal Ministro Patrizio Bianchi alle forze politiche, perché sui temi della scuola, a partire da quello del reclutamento, si aprano al confronto costruttivo senza rigidità e arroccamenti. Mi permetto di aggiungere che sul reclutamento non si può, se davvero si vogliono ottenere risultati, rimanere prigionieri dello schema, tutto ideologico, che vedrebbe contrapposti i fautori della meritocrazia e quelli delle sanatorie: una disputa artificiosa e priva di senso che serve solo ad alimentare o accentuare tensioni e conflittualità e non aiuta a risolvere i problemi. Peggio ancora, ne consegna la soluzione alle aule giudiziarie, dove non si contano le cause legate alla violazione delle direttive comunitarie in materia di abuso dei contratti precari.
“Le regole sul reclutamento dei docenti sono state ripetutamente oggetto di interventi normativi: nessuno di questi ha però centrato l’obiettivo di costruire un sistema efficace, equilibrato, non esposto al contenzioso e non soggetto a continue esigenze di interventi straordinari”. Così si apriva, nel dicembre del 2018, un dossier della CISL Scuola sul reclutamento dei docenti, un documento ai cui contenuti ci siamo da allora ripetutamente richiamati, riproponendoli in sostanza anche nell’ultimo incontro sull’argomento col Ministero. Il titolo di quel dossier indicava con chiarezza quale dev’essere l’obiettivo da perseguire: garantire alla scuola un apporto di elevata qualità professionale in un quadro di stabilità del lavoro e del servizio. Ciò si può ottenere contemperando due esigenze, entrambe funzionali a quell’obiettivo e che danno risposta a corrispondenti e legittime aspettative: quelle delle giovani leve dei neo laureati, cui è giusto offrire con periodicità regolare una chance di accesso all’insegnamento, attraverso un canale concorsuale ordinario; quelle del personale con pluriennale esperienza di lavoro precario, attraverso la quale viene acquisito sul campo un bagaglio professionale che non si vede perché non possa e non debba essere valorizzato anche attraverso percorsi trasparenti e qualificati di stabilizzazione dei contratti. In entrambi i casi, introducendo un robusto supporto in termini di formazione applicata all’esperienza di lavoro, sia per chi vi accede superando un concorso, sia per chi la svolge avendo ottenuto un contratto a tempo determinato.
Sono i fatti a dimostrare il fallimento di una politica del reclutamento che, in nome di una meritocrazia tanto sbandierata quanto astratta, ha condotto a tentativi di rinnovare il sistema tutti clamorosamente falliti, come attestano i dati delle assunzioni del 2020: meno di un quarto dei posti vacanti coperti con le assunzioni in ruolo, una percentuale ancor più bassa, addirittura irrisoria, per i posti di sostegno. Una politica, quella che punta esclusivamente sui concorsi ordinari, che prende avvio dalla finanziaria per il 2007 (governo di centrosinistra, che mandò ad esaurimento le graduatorie permanenti), cui hanno fatto seguito negli anni successivi diverse norme, ugualmente inconcludenti, sostenute da maggioranze di ogni colore.
Il sistema del doppio canale, introdotto nel 1989 con un decreto dell’allora ministro Sergio Mattarella, in realtà non sarebbe stato da abbandonare, ma piuttosto da gestire in modo puntuale e regolare, come purtroppo non sempre è avvenuto. Rivisitare quel sistema, con i necessari aggiornamento, è la proposta che già il nostro dossier del 2018 formula con dovizia di argomentazioni e dati. Quel documento resta anche oggi una buona base di partenza per un ragionamento scevro da ideologismi e fortemente ancorato ai dati di realtà. Una realtà della quale entrano a far parte, oggi, le nuove indicazioni della Funzione Pubblica in materia di svolgimento dei concorsi, di cui si dovrà senz’altro tenere conto; ma costituita anche, ad esempio, dalla quantità abnorme di posti di sostegno privi di titolare, mentre vi sono molti docenti che hanno acquisito il titolo di specializzazione attraverso percorsi formativi di notevole impegno, con passaggi valutativi e di tirocinio in cui la qualità professionale può dirsi abbondantemente testata. O non considerare che la grave carenza di docenti specializzati potrebbe essere ridotta consentendo l’accesso a percorsi formativi dedicati gli insegnanti che da più anni lavorano, senza titolo specifico, sul sostegno. Sono solo due dei tanti aspetti di dettaglio, insieme ad altri eventualmente ritenuti di particolare urgenza, che un confronto aperto e senza inutili pregiudiziali, come chiede il ministro nel suo appello, potrebbe e dovrebbe prendere in esame per definire compiutamente una proposta di sistema a regime, di cui vi è assoluta necessità.
Roma, 20 aprile 2021
Maddalena Gissi, Segretaria Generale CISL Scuola